Nella transizione ecologica la partita per questo combustibile non inquinante vale più di 3 miliardi di euro. Ma c’è moltissima strada da fare, soprattutto per la sua versione «verde» da fotovoltaico ed eolico. Ma la burocrazia ne frena lo sviluppo.
Un impianto per alcuni è una costosa illusione, per altri è la soluzione alla sopravvivenza del pianeta. Dopo anni di dibattiti, la Commissione europea ha messo un punto fermo. L’8 luglio scorso ha lanciato la Strategia europea sull’idrogeno, in cui dice che l’idrogeno verde sarà il pilastro della ripartenza economica dopo il Covid. Contribuirà ad abbattere le emissioni di anidride carbonica delle industrie ad alta intensità energetica come il settore chimico, l’aviazione, il trasporto marittimo e il trasporto pesante. È quindi fondamentale per rispettare l’Accordo di Parigi del 2015 che prevede il raggiungimento nel 2050 della «neutralità climatica», ossia l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio. La decarbonizzazione dei processi industriali sarà dunque la sfida dei prossimi anni. Transizione energetica e sviluppo economico dovranno camminare di pari passo.
Tuttavia, nonostante le allettanti prospettive e i cospicui investimenti promessi, nonché gli eccellenti risultati della ricerca scientifica, la cosiddetta «hydrogen roadmap» è stata sempre rimandata. I problemi da risolvere sono numerosi. A cominciare dall’alto costo.
L’idrogeno non è direttamente disponibile in natura, per ottenerlo bisogna utilizzare carbone, metano o acqua. Attualmente su 76 milioni di tonnellate di idrogeno prodotte ogni anno, il 96 per cento deriva da combustibili fossili ed è inquinante. Ogni chilo prodotto, ne libera 20 di C02 in atmosfera. Poi c’è l’«idrogeno blu» realizzato dal metano, per il quale il problema delle scorie (10 kg per 1 kg di idrogeno) è risolto sotterrandole nei giacimenti esausti del gas.
Ma lo stoccaggio di decine di miliardi di tonnellate di C02 nel sottosuolo pone problemi ambientali. Ecco che l’unico idrogeno sostenibile, definito verde, è quello estratto dal processo chimico di elettrolisi dell’acqua che però richiede una quantità di
energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili quali eolico e fotovoltaico.
Queste però sono ancora scarse, ostacolate da una burocrazia infinita e da paletti politici. Così il costo per la produzione di idrogeno puro diventa di 3-4 volte superiore a quello ricavato dal metano.
«Non si può affrontare il tema dell’idrogeno verde senza aver prima sciolto il nodo delle fonti di energia rinnovabili. 11 problema è che più o meno tutti sono favorevoli ma tutti vogliono
gli impianti altrove. Siccome il territorio sarà destinato a cambiare, bisogna decidere se governare questo cambiamento oppure subirlo quando il surriscaldamento globale ci avrà travolto. Non ci possiamo permettere di aspettare 6-7 anni per avere le autorizzazioni di un parco eolico» commenta Carlo Zorzoli, responsabile Business e sviluppo di Enel Green Power che punta il dito contro le strozzature burocratiche.
Nel Global Renewable Outlook 2020, Irena, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, stima che per raggiungere i target fissati dall’Accordo di Parigi, l’8 per cento dell’energia consumata sul pianeta dovrà venire dall’idrogeno. Siamo molto lontani da questo obiettivo. Attualmente, a livello mondiale, il 95 per cento dell’idrogeno arriva da combustibili fossili inquinanti. In Europa rappresenta meno del 2 per cento del consumo energetico e per il 96 per cento proviene dal gas naturale.
La Svezia sta precorrendo i tempi. Nel 2024 entrerà in attività la prima acciaieria al mondo alimentata solo da idrogeno verde. L’impianto, con sede a Boden nel nord del Paese, ha ricevuto anche i finanziamenti del gruppo Marcegaglia e di Exor della famiglia Agnelli. Nello stabilimento Marcegaglia trasformerà inizialmente 250 mila tonnellate di acciaio l’anno e 500 mila in seguito.
E in Italia? La rivoluzione verde e la transizione ecologica pensate dal premier Mario Draghi valgono 59,33 miliardi di euro e la partita sull’idrogeno 3,19 miliardi Secondo i dati diffusi da Terna, la società che gestisce la rete elettrica italiana, nel 2016 l’Italia ha prodotto l’88 per cento di energia elettrica utilizzando prevalentemente fonti energetiche non rinnovabili (gas naturale, carbone e petrolio, in gran parte importati) e, in misura meno rilevante, fonti rinnovabili. Il restante 12 per cento viene dall’estero.
«Il nostro Paese è appena agli inizi, se si prescinde da piccole realtà industriali che producono idrogeno a partire da pannelli fotovoltaici ed elettrolisi» commenta Angelo Basile, manager del comparto Ricerca e sviluppo di Hydrogenia, società controllata da Greeninvest specializzata nella costruzione di impianti per l’idrogeno verde ultrapuro. Il ricercatore, ex senior researcher presso l’Istituto per la tecnologia delle membrane del Cnr, spiega che «senza un massiccio investimento pubblico sulle infrastrutture sarà difficile far decollare la hydrogen economy».
Nel 2007 la Hfp (Hydrogen & fuel celi platform) stimò che «per raggiungere gli obiettivi della hydrogen economy» continua Basile «sarebbero stati necessari, fino al 2015, 7,4 miliardi di euro. A tale scopo, nel 2008 la Comunità europea creò la Fuel celi and hydrogen – Joint undertaken (Fch – Ju) come una prima iniziativa industriale con contributi sia pubblici sia privati. Nel periodo 2008-2013, Julia speso oltre 400 milioni di euro in ricerca e sviluppo, finanziando più di 130 progetti, con un contributo di privati di altri 540 milioni. Siamo distanti dai 7,4 miliardi promessi. In Italia non mi pare ci siano mai stati massicci investimenti per l’hydrogen economy». Per Zorzoli sarebbe «un errore pensare di idrogenizzare tutto e subito. Bisogna stabilire una scala di priorità cominciando da settori industriali, come il chimico e il petrolchimico, che già usano l’idrogeno nei propri processi ma quello più inquinante, prodotto utilizzando gas e carbone. Successivamente quando l’evoluzione tecnologia lo permetterà, sarà possibile usare l’idrogeno anche in altri campi dove non è pensabile impiegare direttamente l’energia elettrica, per esempio l’aviazione».
Enel ha avviato un progetto di collaborazione con Eni per l’installazione di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde nelle raffinerie a Taranto e a Gela. Eni spiega che «l’idrogeno rappresenta una valida opzione per la mobilità sostenibile, soprattutto nel trasporto stradale pesante e a lungo raggio, dove la soluzione elettrica non è tecnologicamente percorribile». Il gruppo sta realizzando due stazioni di servizio a idrogeno, la prima a Venezia-Mestre, la seconda a San Donato Milanese, dove la produzione avverrà in loco, attraverso elettrolisi dell’acqua, alimentata da energia rinnovabile.
Fonte:
https://www.panorama.it/abbonati/Inchieste/idrogeno-energia-green